PERFORMANCE 200615
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SoloAgorà, Arogno – SvizzeraLive performance, 40 mnCarboncino, olio on canvas (210 x 400 cm)Crushing sound serie #1140 mn / © Chrétien |
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PERFORMANCE 111012
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SoloLista Office, Fribourg / Matran – SvizzeraLive performance, 55 mnCarboncino e pigmenti su canvas (220 x 400 cm) |
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PERFORMANCE 110812
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SoloIl Rivellino Art Gallery, Locarno – Svizzera.Live performance, 30 mnCarboncino e pigmenti su canvas (200 x 400 cm)
[esplayer url="http://www.anthonychretien.net/blog/wp-content/uploads/audio/AC-PERFORMANCE200512.mp3" width="100" height="100" shadow_size="0" shadow_color="shadow color" duration="31:44.00" vp="-150px" autoplay="false" title=”PERFORMANCE200512”seriesplaybutton="false" sid="grouping ID for continuous playing"]Crushing sound serie #0932 mn / © Chrétien |
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PERFORMANCE 200512
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SoloGalerie Harteveld, Murten – Svizzera.Live performance, 35 mnCarboncino e pigmenti su canvas (220 x 400 cm) |
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PERFORMANCE 200512 – Live performance 30 mn – canvas 400×220 cm |
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CRONOLOGIA
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PERFORMANCE 300911
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The duo performance captures the physical act of drawing with anelaborated sound recording of Chretien’s charcoal drawing. This improvised drawing is created in front of an audience of spectators and accompanied by a work in sound by Bettini that is improvised and elaborated in conjunction with the drawing. DVD “Il ritorno del traccio” (Performance 30.09.11) insieme al saggio di Raffaele Scolari: “Filosofia di una performance”.Ed.Mimesis & ELR |
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Il performer Anthony Chretien disegna con il carboncino le sue opere e poi, sotto gli occhi degli spettatori che lo seguono in ripresa video, le cancella con i piedi, ne fa scempio. Non è una prassi nuova: molti artisti prima di lui hanno distrutto pubblicamente le loro opere. Creazione e distruzione fusi in un unico atto. La prassi può richiamare alla mente la distruzione rituale del mandala attuata dai monaci buddisti al termine di una laboriosa creazione, ma il riferimento appare decisamente anodino.Il mondo non soffre oltremodo per un lavoro dato alle fiamme, ma forse nel disagio che suscita in noi la distruzione di un’opera, in particolare se fatta di immagini, si manifesta una resistenza, un’antica e assai radicata avversione all’iconoclastia e ai suoi deliri. Il gesto dell’artista che squarcia la tela è vissuto come furore, automutilazione, annientamento più impotente che potente di qualcosa che ha preso forma, che comunque è stato, ha avuto luogo e – così insegnano anche le neuroscienze – ha lasciato una traccia. Nell’azione artistica di Chretien la distruzione o cancellazione non ha propriamente luogo; è solo simulata o messa in scena, ma non avviene veramente. Tutta l’azione è videoregistrata, talché l’opera trapassa dal piano della tela a quello della registrazione digitale. La creazione e la cancellazione sono quindi solo una parte: l’opera è completata dalla sua duplicazione, che per così dire ne fa un pezzo di videoarte. |
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Ma Chretien non lavora da solo. È coadiuvato da un altro artista, il musicista Guy Bettini, il quale lo segue o meglio lo insegue con una composizione che ricava dall’opera stessa. Bettini elabora la colonna sonora in itinere, registrando, amplificando, modulando e condensando i suoni catturati da un microfono microscopico applicato al polso di Chretien. Sono sostanzialmente i rumori prodotti dal carboncino e dai movimenti dell’artista sulla platea ove è stesa la grande tela. Il musicista compone la traccia impiegando un software che gli permette di stoccare e richiamare in ogni momento i suoni registrati sin dalle prime battute della performance. Ciò produce il “ritorno del tracciato”: suoni passati, di tracce precedenti, che ritornano amplificati, infittiti e rimodulati, e che vanno a sovrapporsi ai rumori attuali prodotti da Chretien nell’atto di disegnare. Si potrebbe dire che il suono non dà scampo al disegnato. Ogni traccia sonora è ripresa e in qualche modo riproposta, talché la composizione visiva è come braccata dai suoni che ha appena prodotto, cioè da se stessa.. |
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Che dire di un’opera siffatta, o meglio così realizzantesi? L’arte non necessita di spiegazioni per essere fruita, eppure come ogni fare dell’uomo non sfugge all’esigenza di essere compresa, o quantomeno non può sottrarsi agli abbracci dei discorsi che, dall’esterno, la considerano, ne fanno un oggetto di riflessione. L’arte, d’altro canto, non è solo arte, bensì è anche mondo; è cosa fra cose, azione fra azioni. La riflessione filosofica, sin di suoi albori, si situa o installa proprio in questa zona di transito, appunto, fra arte e mondo. Una domanda da porre di fronte a esperienze artistiche come quella di Chretien e Bettini, pertanto, è come si pone nello spazio, nei territori delle nostre vite, un’opera che non vuol durare, che si crea e si cancella, che come detto mette in scena o forse solo simula la propria sparizione Raffaele Scolari |
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PERFORMANCE 110811
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Chétien – Bettini Casa Scolari, Gordemo – Svizzera.Live performance, 35 mnCarboncino e pigmenti su canvas (170 x 300 cm) |
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PERFORMANCE 210511
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Gen Atem vs. Anthony Chrétien #01il Rivellino art gallery, Locarno – Svizzera.Live performance, 45 minutesMixe media su canvas (200 x 700 cm)
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Gen Atem vs Chrétien #01 – Live performance 45 minutes – canvas 700x200cm / More photos on: www.genatem.com |
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PERFORMANCE 300411
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soloL’Espace, Locarno – Svizzera.Live performance, 35 mnCarboncino su canvas (170 x 300 cm) |
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PERFORMANCE 150411
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soloIl Rivellino Art gallery, Locarno – SvizzeraLive performance, 40 mnCarboncino e pigmenti su canvas (170 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 120311
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soloIl Rivellino Art gallery, Locarno – Svizzera.Live performance, 40 mnCarboncino e pigmenti su canvas(170 x 350 cm) |
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Il performer Anthony Chrétien disegna con il carboncino le sue opere e poi, sotto gli occhi degli spettatori che lo seguono in ripresa video, le cancella con i piedi, ne fa scempio. Non è una prassi nuova: molti artisti prima di lui hanno distrutto pubblicamente le loro opere. Creazione e distruzione fusi in un unico atto. La prassi può richiamare alla mente la distruzione rituale del mandala attuata dai monaci buddisti al termine di una laboriosa creazione, ma il riferimento mi sembra decisamente anodino.
In un taccuino di pensieri e poesia, Robert Schumann esprime la sua avversione per chi distrugge le proprie opere:
” Il modo di dire “l’ho messa alla stufa”, nasconde in fondo una modestia molto sfacciata; il mondo non sarà ancora infelice per un’opera mal riuscita… “
Il mondo non soffre oltremodo per un lavoro dato alle fiamme, ma forse nel disagio che suscita in noi la distruzione di un’opera, in particolare se fatta di immagini, si manifesta una resistenza, un’antica e assai radicata avversione all’iconoclastia e ai suoi deliri. Il gesto dell’artista che squarcia la tela è vissuto come furore, automutilazione, annientamento più impotente che potente di qualcosa che ha preso forma, che comunque è stato, ha avuto luogo e – così insegnano anche le neuroscienze – ha lasciato una traccia. |
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Nell’azione artistica di Chrétien la distruzione o cancellazione non ha propriamente luogo; è solo simulata o messa in scena, ma non avviene veramente. Tutta l’azione è videoregistrata, talché l’opera trapassa dal piano della tela a quello della registrazione digitale. La creazione e la cancellazione sono quindi solo una parte: l’opera è completata dalla sua duplicazione, che per così dire ne fa un pezzo di videoarte. Ciò emerge chiaramente con la registrazione proiettata sul pavimento, all’entrata della LDV Art Gallery del Rivellino.2 In proiezione continua vediamo l’artista ripreso dall’alto mentre disegna la sua opera e quindi la cancella. Capo e coda si toccano, la fine diventa l’inizio e viceversa, dando luogo, quanto meno all’apparenza, a una sorta di perpetuum artistico, a un girare a vuoto dell’atto creativo. In termini filosofici potremmo dire che qui si dispiega una cattiva infinità: quella del sempre uguale che si somma al sempre uguale. Ma come si è visto non è così, perché l’opera è quel tutto composto (creazione, distruzione, registrazione) di cui siamo spettatori. Questo per quanto attiene al quadro generale, o esteriore, dell’opera. Essa chiede però di entrarvi, e lo fa anche in ragione del fatto che ha introiettato e integrato la sua duplicazione. Non è qui una questione di riproducibilità dell’opera d’arte: l’operazione tecnica di videoregistrazione configura un elemento che compone il lavoro al pari dei materiali, |
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dell’inquietante azione di creazione e cancellazione oppure di quella sorta di danza dell’artista mentre disegna spostandosi avanti e indietro sulla tela. In altri termini, la duplicazione non è ciò cui l’opera tende o mira.
Entrare nell’opera significa orientarsi negli elementi che la compongono, ossia vederli distintamente. Vediamo la tela bianca, quindi l’artista che vi cammina sopra e inizia a tracciare dei segni. La ripresa dall’alto suscita l’impressione che quanto egli sta disegnando emerga dal basso, venga per così dire tirato su. Mi colpiscono in particolare i suoi piedi, che con precisione si posano negli spazi ancora bianchi fra il nero delle linee, delle curve e delle sfumature, come se le superfici bianche fossero isole piatte, mentre quelle disegnate depressioni e cavità. L’opera s’infittisce progressivamente delineando paesaggi, percorsi e luoghi incongrui, e in essi soste e fughe, radure e vicoli ciechi, aneliti e incubi, scoperte e agguati. Come in genere di fronte a opere d’arte che esasperano e soppiantano la figurazione, anche qui assistiamo al prodursi di una sorta di grafico dell’inconscio. Se l’opera si limita a questo, se si accontenta di narrare la pura soggettività che la scatena, fallisce, diviene atto gratuito e solipsistico. |
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Dell’ordine del solipsismo, dell’arbitrarietà e del volontarismo impotente, è peraltro ogni distruzione, cancellazione, autodafé artistico. L’opera deve narrarsi, narrare il proprio narrare, il proprio dare forma, deformare e cancellare.Raffaele Scolari Estratto del saggio “Filosofia di una performance”Ed.Mimesis & ELR |
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PATTERN CORPUS #02
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soloCentro Elisarion, Minusio – Svizzera.Live performance, 30 mnSuono & videoCarboncino su canvas (400x 400 cm) |
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Tracer, inventer, des boucles sonores ou visuelles : impliquer son corps dans le tracé des boucles, l’arrondir. Maintenant, la salle est circulaire, la feuille posée sur le sol aussi : ce sont deux tours de plus, passant l’un dans l’autre, les deux accompagnant les boucles du tracé, du regard, et du son. Tout se tient, et en même temps, chute : les boucles sont ouvertes, elles ne se rejoignent pas, mais partent en spirales, s’enfuient sur place. Elles dessinent des abîmes laissant le corps de l’artiste en suspension au-dessus d’eux, comme si un ensemble de gestes horizontaux préparaient le plongeon qui seul peut donner au sens sa dimension verticale. |
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L’enchevêtrement des arrondis, dans d’autres séries ou performances d’Anthony Chrétien, comme Senza Titolo, dessine des corps, celui d’une femme nue par exemple. On devine alors sans mal les courbes des cuisses, des seins, des épaules, et quand les membres sont dissociés, épars, ils sont tout aussi bien reliés par toutes les boucles passant à proximité des mêmes points. Ceux-ci deviennent les creux du corps : ainsi est laissée à l’épaisseur du fusain le soin de l’équilibre du sujet, tout comme celui de la focalisation du désir. Les dessins peuvent être présentés pour eux-mêmes, mais le tracé est de plus en plus indissociable de celui qui le trace, et qui est filmé à l’œuvre, quelquefois en plongée. Ainsi le corps de l’artiste, qui nécessairement, danse en traçant, est comme projeté sur la feuille, et le dessin est renvoyé à sa valeur constante d’autoportrait : de l’artiste en femme, ou d’un corps au fusain (tenant le fusain autant que dessiné par lui). Le corps dessinant/dessiné semble suivre, en boucle, le trait qui le rapproche, non seulement d’un autre sexe, mais aussi d’une autre vie organique : irrésistiblement, les courbes livrent les contours d’une aile de papillon ou s’enroulent en escargots avec une précision digne d’une empreinte de fossile. Quand il semble que le dessin tend à ne plus rien représenter, comme c’est le cas dans les performances Pattern Corpus, il s’avère que son souci n’a jamais été celui de la représentation, mais bien celui d’une exploration indéfinie des cercles que permet le corps de l’artiste dans ses gestes les plus rapides ou les plus amples, si bien que les courbes restent organiques. La tension du désir demeure aussi ce qu’elle est : le dessin est toujours ce que le corps (dessinant/dessiné) atteint dans un effort infini qui le dissocie en formes finies mais diverses, ou le fait chuter en spirale. |
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Tracer, inventer, des boucles sonores ou visuelles… l’écoute et la vue font aussi une boucle : l’œil, si visible dans les dessins d’Anthony Chrétien, est déjà la double intersection de deux courbes inversées, renforcée par d’autres courbes, et l’oreille s’enroule comme un escargot pour faire entrer le son en spirale (dans certaines figures dessinées, c’est le bras qui s’enroule autour de la tête comme une vaste oreille entourant un œil). Entre eux, œil et oreille, pas de sens commun, de grand puits central où les données se mélangeraient : mais bien plutôt l’espacement même du corps, sentant différemment avec des sens différents, se sentant dessiné organe par organe, partes extra partes (œil par-ci, oreille par-là, cuisses, ventres, ou simplement courbes indéfinissables : cela reste une énumération organique, sensible, voire désirante, telle qu’elle suffisait à Picasso pour définir le dessin). Cette sensibilité est immédiatement exposée, le corps n’est que son exposition, si bien que ce qui est de l’ordre de l’expérience intime est en même temps une ex-périence communicable. Non seulement le corps de l’artiste se communique au dessin, trace ses courbes (masculines ou féminines, ou animales, ou abstraites, tout cela communique). Mais dans la mesure où le corpus d’Anthony Chrétien obéit au principe du work in progress, son geste communique aussi avec le spectateur : l’un voit ce que l’autre voit, entend ce qu’il entend, avance ou chute avec lui. Toutes les boucles sont ouvertes, c’est-à-dire aussi ouvertes à l’autre, pris dans les mêmes spirales, ou aussi bien libéré par elles. |
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Que veut dire : le spectateur voit ce que voit l’artiste ? D’abord, comme on l’a dit, il voit le dessin que l’artiste est en train de faire. Mais aussi, il ne voit que le corps de l’artiste, et non son visage. Dans les performances Pattern corpus Anthony Chrétien porte un masque qui lui donne une étrange tête de loup. Rien ne dit vraiment qu’il s’agisse d’un loup, mais cela en a la forme, et un masque n’a-t-il pas toujours quelque chose du loup ? Ce masque que l’on appelle habituellement loup couvre le visage mais laisse les yeux apparents, renforçant la puissance du regard. Mais un tour de plus fait que le loup cache aussi les yeux, même si l’artiste voit au travers. Cette disparition complète du visage laisse un inquiétant corpus s’exposer sur la feuille. Mais ce n’est pas tout. Pour voir ce que l’artiste voit, encore faut-il que le spectateur voie l’orientation de son regard. C’est encore un tour de plus, rendu possible par ce seul masque, qui ne s’allonge en un long museau de loup que pour contenir une petite caméra filmant en gros plan l’artiste caché. Un fil part en lacets, en boucles encore, vers un vidéoprojecteur qui fait apparaître ce regard, comme ce masque que l’on nomme loup, dans le dos du « loup », et le montre donc regarder (parfois s’épier lui-même) sans que lui ne se voit. Pour que le regard de l’artiste et celui du spectateur n’entrent pas en circuit fermé, il fallait cette étrange dissociation du corps masqué et du regard filmé, qui donne presque naissance à un nouvel être, un loup-garou en deux morceaux. |
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Ainsi, le grand corps à la fois uni et dissocié que forment les courbes organiques à la fois éparses et entrelacées sur la feuille est comme repris par le dispositif d’ensemble, incluant le visage projeté et le corps de l’artiste.Ces reprises tracent déjà une spirale vertigineuse. Mais un tour encore, et le spectateur entend bien, en boucle, ou comme on le dit, en loop, ce que l’artiste entend. Dans Pattern Corpus 01, la bande sonore livre une superposition de lignes rythmiques, qui répètent et accentuent des sons inhumains recueillis puis samplés, évoquant des cordes pincées, des percussions, des crissements, laissant parfois reconnaître des voix déformées. Cet environnement sonore n’est ni mélodique ni harmonique ; comparable en cela au masque (sans oreilles) de l’artiste, il interrompt toute tentative de communion entre les spectateurs, l’auteur et l’œuvre graphique. Malgré la face intime de la musique qui toujours pénètre les corps, qui communierait avec un loup-garou, même s’il pense entendre la même musique que lui ? La communication doit donc s’entendre autrement : elle passe par la dissociation du corps, du regard, du dessin et du son, lui-même éclaté et dissocié en une multiplicité de dimensions irréductibles. Autrement dit les sons doivent s’entendre partes extra partes, comment autant d’attaques ou de pulsations entraînant à chaque fois un geste imprévisible de l’artiste, et un nouveau trait au fusain. |
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Le dessin en train de se faire n’imite donc pas la musique, ne la rend pas visible, n’est pas non plus inspiré par elle : il la transpose ou l’expose dans un champ radicalement hétérogène à elle. Pour la première fois, dans Pattern Corpus II, le rapport s’inversera : la musique émanera directement du bruit du fusain sur la feuille. Les ondes sonores seront comme de nouvelles boucles libérant le geste d’un dernier asservissement à la bande d’enregistrement, et transposeront le tracé lui-même dans un milieu, celui du son, qui lui est radicalement hétérogène.Ainsi se renforce progressivement le lien qui fait tenir ensemble musique et dessin, et maintient dans un équilibre précaire l’artiste même, suspendu aux sons comme il l’est à ses traits : et ce lien, c’est le rythme, c’est-à-dire ce qui décide de l’espacement des sons et fait du tracé une danse. Il est fort possible que le rythme lui-même ménage des contretemps entre le tracé et son amplification sonore, accentuant de cette manière les effets de dissociation. Musique et dessin tendent ainsi à former de nouvelles boucles toujours ouvertes sur une dimension qui ne leur appartient pas, et de cette manière, s’entrelacent. |
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Tracer, inventer, des boucles sonores et visuelles : et finalement, les faire disparaître. Le fusain ne se fixe pas tout seul, le dessin qui vient de prendre forme est donc aussi fragile que l’image sur l’écran, aussi évanescent que le son. Son épaisseur est à peine déposée sur la feuille, et c’est dans l’effacement que son volume se signale, une dernière fois, c’est-à-dire aussi au moment où disparaissent ces spirales sur lesquels le corps de l’artiste se maintenait en équilibre, justement pour ne pas les effacer trop vite. L’effacement est une conclusion à la fois logique et inversée du dessin, la même chose que la chute, ou la fugue animale : si le masque signalait déjà aussi une réserve, un retrait de l’artiste dans l’exposition même de son corps comme de son dessin (on ne le voit pas plus qu’il ne se voit lui-même), le loup-garou s’en va en emportant son œuvre, sans autre forme de procès. Il devient impossible de dénier à l’animal, que l’on croyait peut-être attaché par le museau d’où part le fil menant au vidéoprojecteur, cette capacité à s’enfuir en effaçant ses traces. La performance joue donc encore un tour en se finissant, en ne laissant derrière ou devant elle que la possibilité d’un recommencement, en boucle.
En boucle – Les performances Pattern Corpus
Jérôme Lèbre, Paris, le 7 novembre 2010 |
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PATTERN CORPUS #01
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SoloMya Lurgo Gallery, Losone – Svizzera.Live performance, 30 mnSuono & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm)
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PERFORMANCE 190608
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soloLa Fabbrica, Losone – Svizzera.Live performance, 46 mnSuono & videoCarboncino e pigmenti su carta (150 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 220508
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Solo & Music LiveLa Fabbrica, Losone – Svizzera.Live performance, 55mnSuono & videoCarboncino e pigmenti su carta (150 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 240408
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soloLa Fabbrica, Losone – SvizzeraLive performance, 49 mnSound & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 270308
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Duo con Paula Turcas (soprano)La Fabbrica, Losone- SvizzeraLive performance, 45 mnSuono & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm)
[esplayer url="http://www.anthonychretien.net/blog/wp-content/uploads/audio/SENZA TITOLO 270308-PAULA_TURCAS.mp3" width="100" height="100" shadow_size="0" shadow_color="shadow color" duration="25:15.34" vp="-150px" autoplay="false" title=”Senza titolo 190608”seriesplaybutton="false" sid="grouping ID for continuous playing"]Crushing sound & Turcas serie #0545 minutes / © Chrétien |
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PERFORMANCE 280208
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soloLa Fabbrica, Losone – SvizzeraLive performance, 38 mnSound & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 310108
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DuoLa Fabbrica, Losone – SvizzeraLive performance, 28 mnSuono & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm) |
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PERFORMANCE 301107
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soloLa Fabbrica, Losone – SvizzeraLive performance, 23 mnSuono & videoCarboncino su carta (150 x 350 cm)
[esplayer url="http://www.anthonychretien.net/blog/wp-content/uploads/audio/AC-SENZATITOLO301107.mp3" width="100" height="100" shadow_size="0" shadow_color="shadow color" duration="27:00.00" vp="-150px" autoplay="false" title=”Senza titolo 301107”seriesplaybutton="false" sid="grouping ID for continuous playing"]Crushing sound serie #0123 minutes / © Chrétien |
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CREDITS
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Fotografie:[1] Klaus Sommer[2] Eloise Ghioni[3] Jacques Morard & Do Gotof[4]Lucia Adamo & Signe Prince Fleischmann[5] Do Gotof[6] Rebecca Olsen[7] Pyt [8] Laury Chrétien [9] Michel Villard
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